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Esiste un mito tutto italiano per cui comprare una casa di proprietà è sempre una scelta premiante nel lungo periodo e questo ha portato 8 famiglie su 10 ad avere case di proprietà. Bene, questo mito è crollato con la crisi del 2008 e con la conseguente riduzione del valore degli immobili si è rivelato un vero e proprio flop. Già la storia del nostro mercato immobiliare ha iniziato a cambiare nel 2005, dopo quasi cinquant'anni. Un bel grafico, frutto di una corposa elaborazione del "Cresme"(Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l'Edilizia e il territorio), pubblicato nell'ultimo rapporto sul mercato delle costruzioni, racconta come si sia evoluto il mattone italiano sin dal 1958 e tratteggia uno scenario epocale per gli anni che abbiamo di fronte: per la prima volta nel nostro Paese, diminuiranno i proprietari e aumenteranno gli inquilini.

Come se non bastasse, la crisi ha portato solo nel 2012 a un aumento del 14% di famiglie che iniziano ad affittare parti della propria casa, per far fronte alle spese quotidiane. In particolare, per la prima volta in assoluto, i lavoratori hanno superato gli studenti nella richiesta di affitto condiviso, il 58% contro il 42%39. Tutti questi dati, ci forniscono solo in maniera parziale i motivi per cui un paese come l'Italia, così attaccato ai contesti familiari più classici e alle case di proprietà, dal 2006 abbia registrato una crescita esponenziale di progetti e una discussione mediatica estesa sui cohousing.

Nel nostro paese stanno avendo molto successo due principali modelli per l'edificazione di queste strutture: il primo, come è successo a San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna, si fonda su un intervento pubblico in collaborazione con l'associazione "E'/co-housing"; il secondo, come il cohousing di Villorba in provincia di Treviso, con un intervento di iniziativa privata in collaborazione con la "Cooperativa Pace e Sviluppo". Andrea Mariotto40ci spiega che il successo italiano che sta avendo il cohousing, è legato al concetto dell'aggregazione e della condivisione di spazi e servizi come valore aggiunto, come una sorta di compromesso non troppo pesante da accettare, anche per la nostra cultura. In un mercato immobiliare tradizionale, dettato sempre di più dalla convenienza economica più che dal rispetto delle nostre convinzioni e desideri, la scelta di non condividere almeno una parte dei propri spazi vitali comporta forse più compromessi di quanti siano imputati alla soluzione cohousing.

Non è per ora possibile prevedere quali saranno le evoluzioni e gli esiti di questo processo appena iniziato, ma certamente la diffusione mediatica e la notevole partecipazione dimostrano come questo fenomeno abitativo possa rispondere a un esigenza che comincia a essere sentita da molti italiani.

Ad avvalorare questo nuovo corso nel febbraio del 2010 nasce tra Bologna e Firenze "la Rete Italiana Cohousing" su iniziativa spontanea di alcuni aspiranti cohousers, con l'obiettivo di individuare una piattaforma comune, di intenti e di azioni per collegare in rete le nascenti esperienze di coabitazione a livello territoriale41. La Rete è composta da associazioni e gruppi formali e informali, spontanei e senza scopo di lucro, che si occupano di promozione e/o realizzazione di esperienze di cohousing a livello locale.

Da: Giacomo Drago, Cohousing, andata e ritorno, tesi di laurea.